venerdì 16 dicembre 2011

Il Santo del Giorno-16/12/2011

No, non è  il giocatore della Juventus ma comunque il beato Clemente Marchisio spinge da par suo ma i9ns enso spirituale.

Beato Clemente Marchisio
Sacerdote e fondatore :
Figlie di S. Giuseppe


C
lemente Marchisio nacque a Racconigi (CN) il 1° marzo 1833. Era il primo di cinque figli di un calzolaio. Fin da fanciullo  acquisì una grande devozione verso la Madonna e il Rosario. Mentre era avviato ad intraprendere la professione del padre, un giorno manifestò quanto da tempo sentiva nel cuore: consacrarsi a Dio come sacerdote. I genitori, sebbene sorpresi, non si opposero anche se il primo problema da affrontare era la mancanza del denaro necessario allo studio.

La Divina Provvidenza venne incontro a Clemente : don Giovanni Battista Sacco lo aiutò, sostenendolo anche economicamente. Nel seminario di Bra si impose un regime di vita alquanto esigente, incentrato nella preghiera, nello studio e nel lavoro.
Con dispensa pontificia, poiché non aveva raggiunto i ventiquattro anni, venne ordinato sacerdote il 20 settembre 1856. Dopo l’ordinazione frequentò, a Torino, il biennio di perfezionamento presso il Convitto di San Francesco: era la santa scuola per sacerdoti retta da S. Giuseppe Cafasso, trasferita in seguito presso il Santuario della Consolata. Clemente si distinse al punto che fu prescelto dal “Santo della forca come compagno nelle frequenti visite ai carcerati e ai condannati a morte. I due anni trascorsi a fianco del Cafasso trasformarono profondamente il suo animo. Disse: ne uscii completamente diverso, pienamente conscio della dignità del sacerdote.

Nella capitale subalpina erano gli anni di Don Bosco, di S. Leonardo Murialdo, del B. Federico Albert, del B. Michele Rua, del B. Francesco Faa di Bruno, del B. Giovanni Maria Boccardo; vivo era il ricordo di Giuseppe Benedetto Cottolengo († 1842 – canonizzato il 19 marzo 1934).

Dopo un breve periodo trascorso prima a Cambiano, nel 1858, come viceparroco, poi a Vigone, raggiunse Rivalba Torinese, un piccolo centro collinare di neppure mille abitanti dove fece il suo ingresso il 18 novembre 1860 a soli ventisette anni: reggerà la parrocchia, senza mai risparmiare le fatiche, per quarantatre anni. Si alzava alle 5 e dopo due ore di preghiera celebrava la Santa Messa. La recita del Rosario apriva e chiudeva la sua giornata. La devozione principale era verso l’Eucaristia.
Un giorno fece questa confidenza: Anch’io mi trovo a volte accasciato sotto il peso delle tribolazioni; ma ti assicuro che, dopo cinque minuti passati con fede viva dinanzi a Gesù Sacramentato, mi sento pienamente rinvigorito, a tal punto che tutto quello che prima mi pareva troppo duro e insopportabile mi diventa facile e leggero.

Come dice S. Paolo la fede senza le opere è morta. Erano gli anni della crisi delle campagne, si emigrava in città alla ricerca di fortuna. Per venire incontro ai suoi parrocchiani don Clemente diede vita a diverse iniziative. Il materiale edilizio inutilizzato per la mancata costruzione della nuova chiesa fu impiegato per edificare un asilo infantile e un laboratorio tessile per le giovani che così non erano costrette a recarsi a Torino alla ricerca di lavoro come domestiche (1871). Ristrutturò anche il millenario castello (oggi culla della sua fondazione).

Una svolta arrivò quando le suore Albertine, che avevano gestito il primo laboratorio, lasciarono il paese. Dietro consiglio dell’Arcivescovo di Torino Mons. Gastaldi, don Clemente lo affidò ad alcune tra le migliori ragazze che vi erano impegnate. Era il nucleo di una nuova famiglia religiosa: l’Istituto delle Figlie di S. Giuseppe (1877); Rosalia Sismonda, conosciuta due anni prima a Sciolze, sarà il suo braccio destro. Ai diversi istituti già esistenti si aggiunse, dunque, quello di Rivalba.

Pochi anni dopo, però, don Clemente ebbe un’ispirazione originale. Le sue suore avrebbero lavorato per rendere maggiormente degno il culto del Sacrificio Eucaristico, dedicandosi alla preparazione delle ostie e del vino. Loro compito era inoltre confezionare i paramenti e quanto serviva ai sacerdoti per officiare. Il piccolo paesino, di neppure mille abitanti, divenne il centro di un’opera che avrebbe varcato presto i confini regionali e quelli nazionali.

Nel 1883 aprì una Casa a Roma e Pp Leone XIII (Vincenzo Gioacchino Raffaele Luigi Pecci, 1878-1903) esclamò gioioso: Finalmente Nostro Signore, con questa Congregazione, ha pensato a se stesso. Erano le suore delle ostie.
Nel 1894 raccolse i suoi pensieri e le sue meditazioni sull’Eucaristia, e sulla lotta contro di essa, nel libro “La SS. Eucaristia combattuta dal satanismo. Commentando l’Apocalisse, don Clemente illustrò il tentativo continuo del demonio di allontanare l’uomo dal momento sublime della sua unione in terra con Dio: la Comunione. Avvicinare l’uomo a Dio era il centro dei suoi pensieri e, per ottenere tale scopo, era importante che l’Eucaristia fosse celebrata in modo ineccepibile: il pane e il vino dovevano essere preparati con una selezione attenta della farina e dell’uva. Per questo motivo le Figlie di S. Giuseppe aprirono diversi laboratori in tutta Italia perché il lavoro da fare era immenso.

Per diffondere la sua opera viaggiò per tutta l’Italia, raccogliendo ovunque attestati di stima da vescovi e cardinali; fra questi anche il Patriarca di Venezia, il futuro Pp S. Pio X.

L’8 dicembre 1903, festa dell’Immacolata, tenne la sua ultima predica. Il 15 dicembre celebrò l’ultima Messa e l’indomani, nel pomeriggio, don Clemente Marchisio, a settant’anni, andò incontro al Signore.
Le sue “figlie”, sparse in tutta la penisola, erano oltre seicento. Il suo amico S. Pio X (Giuseppe Melchiorre Sarto, 1903-1914) riconobbe ufficialmente l’Istituto nel 1907 e lo volle per la sacrestia di S. Pietro.

Don Clemente Marchisio è stato elevato agli onori dell'altare, insieme ad un altro sacerdote torinese, don Federico Albert, dal Beato Giovanni Paolo II (Karol Józef Wojtyła, 1978-2005), il 30 settembre 1984; le sue spoglie sono venerate nella parrocchia di Rivalba.

Oggi, disseminate in più di trenta case in tutto il mondo, le suore Figlie di S. Giuseppe preparano ogni anno milioni di ostie, pigiano carrettate d'uva, lavano tonnellate di indumenti liturgici. La Basilica di S. Pietro di Roma utilizza i loro servizi, ma anche umili cappelle di missioni. La loro vita è tutta orientata verso l'altare del Santo Sacrificio della Messa ed il tabernacolo. Esse manifestano al mondo l'amore della Chiesa per l'Eucaristia.

A più di cento anni dalla sua morte, l’esempio e l’insegnamento del B. Clemente Marchisio sono di singolare bellezza e sconcertante attualità, oggi, un tempo in cui, seguendo la voce di Pp Benedetto XVI (Joseph Alois Ratzinger), siamo chiamati a riparare dimenticanze, irriverenze e, purtroppo, anche abusi contro l’Eucaristia, per ritornare ad amare e adorare Gesù Eucaristico come l’unico Amore della nostra vita al fine di trasfigurarci in Lui.

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